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EA E IL COLOSSO SAUDITA: RIVOLUZIONE O MINACCIA?

Speciale a cura di Claudio 'Dogghy' Favorito il 08/10/2025

Quando si parla di acquisizioni nel mondo dei videogiochi, i riflessi automatici sono quasi sempre negativi: paura di interferenze, di tagli, di controllo creativo. Ed è comprensibile: l’industria ha visto troppi casi in cui un buyout si è tradotto in ridimensionamenti e perdita d’identità. La domanda che solleverò in questo articolo è la seguente: l’acquisizione di Electronic Arts da parte di un consorzio guidato dal fondo sovrano saudita (PIF) può in realtà essere una cosa buona?
Analizziamo i fatti accaduti finora. EA, come società quotata, è sempre stata schiava delle aspettative degli azionisti. Ogni trimestre doveva “performare”; tutte le decisioni venivano pesate in base all’impatto immediato sul titolo in borsa. E questo, nel lungo periodo, ha avuto un prezzo altissimo: la perdita di visione a lungo termine.
Lo abbiamo constatato con molti franchise al di fuori dell’ambito sportivo: la serie Battlefield ha registrato difficoltà dopo Battlefield 1; BioWare non sforna un RPG memorabile da anni; Need for Speed è stato in gran misura accantonato, incapace di competere con altri giochi di corsa come Forza o Gran Turismo. Non dimentichiamoci poi del gigantesco flop di Anthem e dei numerosi tagli e chiusure di studi storici.
EA ha spesso preferito rincorrere le tendenze anziché guidarle, e questo si è tradotto in giochi che si somigliano tutti, franchise sfruttati fino all’esaurimento e una sensazione generale di “vuoto creativo”.
Adesso si potrebbe dire che l’affare colossale da 55 miliardi di dollari tra il PIF e EA sia una mossa altruista del primo per risollevare una situazione da troppo tempo in forte declino. Non è esattamente così, o perlomeno, in questo “leveraged buyout” (acquisto a debito) ci sono delle zone d’ombra che soltanto il tempo potrà rivelare.
Alla guida di tutto questo c’è Mohammed bin Salman Al Saud (MBS), classe ’85, il principe ereditario e primo ministro dell’Arabia Saudita, e di fatto il leader più potente del Paese.
MBS è giovane, ambizioso e deciso a cambiare la faccia del regno attraverso il suo piano chiamato Vision 2030, slegandolo da un’economia dipendente dal petrolio e trasformandolo in un hub globale di tecnologia, turismo, sport e intrattenimento. EA è il tassello perfetto per questa visione.

Sappiamo che i videogiochi oggi valgono più di cinema e musica messi insieme, ragion per cui acquisire EA significa avere in mano brand conosciuti ovunque: FIFA/EA Sports FC, The Sims, Battlefield, Apex Legends. È una mossa di potere e di immagine: il regno Saudita non vuole solo comprare aziende, vuole entrare nei salotti di milioni di persone in tutto il mondo.
Non è la prima volta che il PIF investe nel settore; negli ultimi anni ha acquistato Savvy Games Group, la compagnia che controlla la piattaforma eSport ESL e il publisher Scopely.
Ha anche comprato azioni di Nintendo, Capcom e Take-Two; tuttavia, EA rappresenta il salto più grande: il PIF passa da investitore a proprietario di un colosso mondiale.
L’acquisto a debito, come vi accennavo poco sopra, è un’operazione che prevedibilmente non necessita di tutti i soldi “cash”. In pratica, EA ora dovrà ripagare il passivo nel tempo e, per farlo, potrebbe dover tagliare le spese, chiudere progetti meno redditizi, ridurre il personale o persino spingere ancora di più su giochi con microtransazioni e abbonamenti.
Non stupisce che questa possa essere una delle paure principali di chi guarda l’accordo con sospetto: dietro la promessa di libertà dal mercato azionario e dagli investitori esterni potrebbe nascondersi una gestione aggressiva e orientata al profitto immediato.
Le critiche non arrivano solo dai giocatori, ma anche da analisti e dipendenti del settore, i quali si chiedono se un governo con una visione rigida di libertà possa mai decidere cosa sia accettabile in un videogioco. Per intenderci, ci si riferisce a temi sensibili come personaggi LGBTQ+, rappresentazioni religiose o politiche, e così via.
Sebbene Mohammed bin Salman Al Saud abbia allentato alcune restrizioni sociali in Arabia Saudita, sulla sua persona pendono delle accuse piuttosto importanti di repressione politica, censura dei media e violazioni dei diritti umani, oltre a un suo coinvolgimento indiretto nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018.
Per il PIF, acquisire EA è un modo per trasformare il petrolio in influenza culturale, poiché nel lungo periodo non è sostenibile né per motivi ambientali, né perché il mercato globale sta cambiando. Quindi investe in settori moderni e “verdi”: tecnologia, sport, cinema, turismo e videogiochi.
È anche innegabile la manifestazione del PIF di voler migliorare l’immagine dell’Arabia Saudita nel mondo, dandole un volto moderno e progressista, un fenomeno chiamato spesso “soft power” o “sportswashing”.
Insomma, da tutto questo si evince che, da azienda privata, EA non dovrà più pubblicare dati finanziari e risultati ogni trimestre. Questo significa meno controllo da parte dei consumatori, dei media e dei regolatori (e meno trasparenza). Il debito di EA potrebbe spingerla a spremere di più i suoi giochi con contenuti a pagamento e meno sperimentazione, e poi, dulcis in fundo, c’è la questione prettamente etica: c’è chi non vuole giocare prodotti appartenenti a un regime accusato di violazioni dei diritti umani.
Voglio concludere questo articolo scrivendovi che, dal mio punto di vista, EA aveva comunque bisogno di un cambiamento radicale. Rimanendo sotto il controllo di fondi privati, e se i nuovi proprietari non interferiranno con i contenuti, EA potrebbe addirittura rinascere e avere più spazio per progetti a lungo termine, con meno pressioni di mercato.
Il rischio è enorme, ma lo è altrettanto la possibilità.

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