Speciale a cura di Claudio 'Dogghy' Favorito il 03/01/2013
Noi gamers lo sappiamo benissimo, è proprio fastidioso vedere attribuire le peggiori diffamazioni ai videogames da parte dei media. Come se non bastasse, le parole che provengono dal catodico o dal cartaceo sono spesso colme di errori e pronunciate da chi di videogames non ne ha mai visto uno in vita sua. Fin qui l’impostazione dell’articolo sembra essere chiara, molti mi daranno una “pacca virtuale” sulla spalla ma desidero ardentemente togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Per fare ciò dobbiamo parlare di scienza. Esatto, perché proprio alla fine dell’intelligenza umana entrano in gioco questi fantomatici studi su giovani cavie. A quanto pare, i titoli più scabrosi stimolano la parte anteriore del nostro cervello “disattivando” la cosidetta “coscienza individuale” ogni qual volta dobbiamo reagire ad una situazione violenta ingame. Il risultato di questo studio è, ovviamente, drastico: “Il giocatore, se sottoposto ad un certo numero di ore davanti ad un gioco violento, si abitua a stimolare sempre le stesse aree del cervello reagendo quindi aggressivamente anche nella vita reale.”
Immaginate anche voi quello che sto per dire? No? Ve lo dico, allora: “Ma vaaaa’!”. Fortuna che nel mondo c’è chi dice realmente le cose come stanno come il Dott. Christopher J. Ferguson, della Texas A&M International University. Egli ha dichiarato che il 90% dei risultati ottenuti dai test eseguiti in laboratori non sono definibili “scientifici”. Stiamo parlando di una percentuale di gran lunga superiore a quella che ci si potrebbe aspettare, allora perché il dottore in questione si è voluto sbilanciare così tanto? Lui stesso ha detto di non potersi permettere ragazzi che si sparano/accoltellano durante i test e che ogni ricercatore ha il suo punto di vista: c’è chi, ad esempio, reputa espressione di violenza l’esplosione di una bomba o le urla di un soldato ferito.
Abbiamo capito che i margini di valutazione sono molto ampi e che gran parte delle ricerche vengono spacciate per scientifiche quando in realtà non lo sono.
E’ una lotta in piena regola: da una parte c’è chi li proibisce e lo fa con successo in alcuni paesi, si veda la sempre citata Australia, e chi dall’altra preferisce spendere soldi come e dove vuole.
La mentalità dei primi, ahimè, è in gran parte riconducibile a quella italiana. Gli ignoranti in materia tendono a considerare ancora oggi i videogiochi come un intrattenimento mediatico per bambini. Signori, è la pura verità. Quante volte ci sentiamo “inadeguati” a parlare con qualcuno di videogames perché sappiamo che certamente lo considera un passatempo infantile? Voi lo vedete un bambino di 5 anni giocare con Modern Warfare o Left 4 Dead? Possiamo in qualche modo far capire a questa gente che alle volte i videogiochi, violenti o meno, sono vere e proprie opere d’arte? Il fatto che questi titoli finiscano nelle mani di un bambino è un’eventualità: l’organo di autocontrollo del settore, il famoso PEGI, parla chiaro. L’acquisto di un prodotto 18+ è destinato ad una fascia adulta e non ai minori. Mamme, papà, dove siete quando i vostri figli acquistano i titoli?
Come se non bastasse, oltre ai simboli raffiguranti l’età, vi sono anche quelli della violenza, linguaggio scurrile etc…Insomma, tutto sommato i minori dovrebbero essere tutelati all’origine. Ma non sembra essere così, almeno non in tutti i paesi dove la commercializzazione di questi prodotti è legale anche verso i minorenni.
Quando si pensa a tutto questo, togliere un divertimento ai giovani perché considerato teoricamente violento, riconduciamo i nostri pensieri alla tv ed ai media che giornalmente ci mostrano cose ben peggiori…storie reali, aggressività che vanno aldilà di una banalissima console. Cari media e cari ricercatori, se proprio dovete puntare il dito per la colpa di tutta questa violenza nel mondo, fatelo con più criterio. Lasciate a noi gamers il divertimento che ci spetta senza troppe polemiche.
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