Recensione a cura di Claudio 'Dogghy' Favorito il 25/07/2025
“Sebbene il futuro sia un prodotto di tutto il presente che lo precede, domani non appartiene ad oggi. Vivere significa immaginarsi il futuro. E laggiù inevitabilmente arriviamo.
Tuttavia il nostro posto in quel futuro potrebbe non essere quello che immaginiamo.” – Kobo Abe, Alla Ricerca del Presente
Non so se siano gli anni che porto sulle spalle a rendere così difficile, per la prima volta, descrivervi l’effetto che Death Stranding 2 ha avuto su di me durante questo lungo viaggio. Ora che vi scrivo, con i titoli di coda ancora freschi negli occhi, mi sento scosso, forse persino inquieto, consapevole che questa recensione non potrà essere come tutte le altre. Continuo a pensare a quella maledetta parete che solo opere immense come questa di Kojima Productions riescono ad abbattere, travolgendoti, inghiottendoti e infine risputandoti nel tuo mondo, ma segnato, con qualcosa di nuovo e indelebile dentro di te.
Spoilerarvi la storia richiederebbe un articolo a parte e, del resto, non è di questo che voglio scrivere, ma di quanto potenti possano essere le parole, i gesti e i temi affrontati con maestria. La vita e la morte, l’amicizia, la speranza, la violenza, la ricerca della pace, il dolore insaziabile che nasconde il vero, cioè quello che ci fa smarrire la strada di casa, che ci rende fragili e impotenti nel momento più basso della nostra esistenza.
Hideo Kojima conosce molto bene il potenziale dei suoi strumenti e del team che lo circonda, ed è anche un grande appassionato di cinema e di musica; tutti questi elementi gli consentono di creare ed espandere la propria visione come pochi in questo settore, e ciò culmina con Death Stranding 2.
La vicinanza di Kojima-san al grande schermo è nota da anni, lo abbiamo visto con i suoi precedenti lavori, ma soltanto in quelli più recenti, come Silent Hill P.T. e Death Stranding, si fregia di attori, registi e musicisti di tutto rispetto: Troy Baker, Elle Fanning, Norman Reedus, Léa Seydoux, George Miller, Guillermo del Toro, Luca Marinelli, Shioli Kutsuna, Nicolas Winding Refn, Tommie Earl Jenkins e tanti altri che hanno prestato il loro volto anche per un cameo.
Possiamo osservare ogni singola imperfezione della loro pelle, ogni smorfia, l’emozione che trasuda dai loro volti per arrivare dritta a noi, bucando lo schermo e facendoci sentire parte di ciò che sta accadendo.
E non sono state poche le volte in cui mi sono sentito disarmato di fronte agli eventi di Death Stranding 2, perché fin dalle prime battute colpisce là dove anche l’essere umano più stoico vacillerebbe: l’innocenza. Non si riemerge, non c’è proprio cura per quella ferita così grande e significativa; il giocatore sanguina insieme al protagonista, Sam, per tutta la durata del viaggio.
Mentre mi veniva chiesto di collegare il Messico e l’Australia attraverso una nuova rete chirale, cercavo di non pensare al peso che stavo portando nello zaino, non soltanto quello materiale che, da bravo corriere, ero chiamato a consegnare, ma anche - e soprattutto - quello psicologico.
Eppure, muovendomi in quei territori incontaminati a piedi o a bordo del mio furgoncino, ci sono stati momenti in cui avvertivo distintamente un forte sentimento di speranza per un futuro migliore. Il voler rimanere uniti o collegati, da parte della popolazione rimasta, in qualche modo faceva da contrappeso a quanto di negativo stava accadendo al protagonista.
Conoscere nuove figure, aiutarle nelle consegne ed essere ricompensati con oggetti ed equipaggiamenti migliorati è parte del lavoro, così come lo è, ancora una volta, costruire strutture in grado di aiutare altri corrieri (online) come Sam a raggiungere il proprio obiettivo senza troppi impedimenti: strade, scale, ponti, coperture anti-cronopioggia, bunker, colonne per la ricarica delle batterie e così via.
In Death Stranding 2 il giocatore può quindi fare la differenza non soltanto nel proprio mondo ma anche in quello degli altri, in modo asincrono, e stringere così numerosi e utilissimi legami.
Il concetto di “corda” e di “bastone” che abbiamo visto nel primo capitolo adesso viene ripreso nuovamente in considerazione, dando più valore al secondo e motivandolo con la storyline, ma anche dal punto di vista della giocabilità: si spara di più e si maneggiano molti più strumenti offensivi.
Questo non è un male, chiariamoci, perché le consegne, specie se distanti tra loro, possono risultare davvero tediose senza la costante minaccia dei banditi e delle creature arenate (CA).
Entrando nel vivo dell’azione, non ho potuto fare a meno di notare diversi aspetti che accomunano inevitabilmente Death Stranding 2 alla serie Metal Gear Solid: la componente stealth, il feedback delle armi, le movenze stesse di Sam sul campo di battaglia. Hideo Kojima non ha mai abbandonato quell’idea, anzi l’ha decisamente migliorata, dando al giocatore numerose opzioni alternative su come risolvere uno scontro diretto.
E se questa comparazione tra i due titoli di punta di Hideo Kojima vi sembra eccessiva, sappiate che di riferimenti a Metal Gear Solid ce ne sono davvero tanti e piuttosto evidenti.
Spingere il motore di gioco Decima al suo limite è stato un altro punto focale dello sviluppo di Death Stranding 2: ciò che viene proposto è un mondo di gioco aperto in cui i caricamenti sono quasi del tutto inesistenti. Non solo: esplorando i vastissimi biomi in qualsiasi ora del giorno o della notte si può assistere a panorami mozzafiato, con una linea d’orizzonte vastissima ed effetti meteorologici e particellari di prim’ordine.
È la regia di Death Stranding 2 ad avermi catturato più di ogni altra cosa, ovvero come ogni tassello riesca ad incastrarsi perfettamente al fine di stupire e assottigliare sempre più la linea che separa i nostri sensi dall’interazione vera e propria con il gioco. Dunque, mentre si cammina sulla cresta di una montagna al tramonto, la telecamera può allargarsi fino a renderci una formica che vaga solitaria sulle note malinconiche di una delle tracce composte da Woodkid, Low Roar, Ludvig Forssell, Chvrches, Magnolian, Silent Poets e Apocalyptica, per citarne solo alcuni; musiche, queste, che cambiano per riflettere l’umore e le scelte del giocatore, come spiegò proprio Hideo Kojima via X.
Ci sarebbe certamente da analizzare molto di più su Death Stranding 2: la storia, i protagonisti, i temi e gli innumerevoli simbolismi e messaggi criptici a cui Kojima-san ci ha abituati nelle sue produzioni. Ciò che dal mio punto di vista è importante che voi sappiate, oltre al fatto di aver giocato al primo capitolo, è che questa seconda parte della storia è un’opera che a stento dimenticherete.
Non ricordo di essermi immedesimato così tanto in un videogioco da diversi anni a questa parte, solo che adesso riesco meno a trattenere le lacrime e credo di averne perse tante dall’inizio alla fine di Death Stranding 2.
Siamo costantemente alla ricerca di un intrattenimento che ci faccia provare qualcosa, che ci diverta e che lasci il segno, dunque non possiamo ignorare la bellezza pregna di significato che Kojima Productions ha realizzato per noi. Dobbiamo soltanto abbracciarla.
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